Tra il 3 maggio e il 4 giugno 1944, a Roma, il giovane letterato Guglielmo Petroni viene arrestato dai nazifascisti e condotto in carcere, dove subisce interrogatori e torture, in via Tasso prima e a Regina Coeli poi. Finché, con l'arrivo degli Alleati, viene salvato dalla condanna a morte e può far ritorno alla patria Lucca. Nuovamente libero, affronta il faticosissimo viaggio verso la città natale in preda a una sorta di smarrimento esistenziale e di spaesamento, senza nemmeno il conforto della solidarietà da parte di contadini affamati e induriti dalla dittatura e dagli stenti. Rievoca il tempo appena trascorso e ne ricava il dubbio che forse, in assenza di autentica comprensione del prossimo e di vicinanza reciproca, non solo il carcere, bensì tutto il mondo si rivela una prigione. Questo libro, considerato uno dei migliori esempi di memorialistica resistenziale, riesce a evocare la tragica condizione dei prigionieri secondo l'originale prospettiva di un intellettuale, che ha il senso della propria solitudine e diversità, e che con occhio critico e stupito osserva un contesto di violenza e follia.
‟Fuori della porta della prigione mi ero fermato un attimo, aspettando da me quel tal respiro che allarga il petto quando si ritorna alla vita, quando si rivede il cielo e gli uomini dopo averli quasi per sempre perduti: avevo alzati gli occhi verso i tetti della città; il cielo era quello di Roma, perfetto; ma fu soltanto un profondo rammarico a ingigantirmisi nel petto, uno strano rammarico forse complicato. Mi accorsi che rimpiangevo violentemente le ore in cui la mia anima era incerta, insidiata ogni momento; rimpiangevo la fame, il buio e l'incertezza che, questa volta, lasciavo definitivamente dietro le mie spalle.”