E' oriente
di Paolo Rumiz
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"Metti una sera d’inverno a Berlino. Una locanda, una birra e una
fantastica meta, Istanbul. Sul tavolo, una carta geografica con il percorso, uno
zigzag fra isole chiamate Slovacchia, Ucraina, Carpazi, Moldavia, Bulgaria. Cent’anni
fa erano ancora l’Oriente del nostro’ mondo. Oggi sono solo Est, una
sigla che marchia le periferie della politica e della mente. La mappa parla
chiaro. Il Muro è caduto, ma un pezzo d’Europa si allontana da noi, va alla
deriva in un labirinto di frontiere, secessioni, disastri bellici e
ambientali."
Molta parte di quello che potremmo chiamare il mondo di Paolo Rumiz è contenuto in questa apertura. L’Est (guardato per lo più da quel formidabile osservatorio di frontiera che è Trieste), il gusto del viaggio o piuttosto dell’andare (attraversando paesaggi, incontrando uomini, sondando umori), la fascinazione del racconto e della parola. In questo libro in cui molte strade si intrecciano su quell’ideale confine d’acqua che è il corso del Danubio, non mancano affondi, interferenze, meditate diversioni che portano in Italia, quasi la fatica e la bellezza dell’andare (con ogni mezzo: a piedi, in bicicletta, in treno) fosse comunque e sempre la penetrazione di un altrove che riconduce alla percezione del nostro paese. E Trieste è sempre lì a far da sentinella fra due diversi "altrove". Con il talento del ritrattista sociale Rumiz ci racconta la storia di Jucika Seres, contadina magiara, che sembra assumere in sé tutta la forza femminile del Danubio, evoca le "genti favolose del Mar Nero", scava nell’angoscia dell’homo helveticus, legge la Svizzera come "anomalia europea", spia il traffico degli scafisti dal Salento spazzato dalla tramontana. L’Est: un ghiacciaio che, sciogliendosi, rovina sull’Europa o un baluardo di tradizioni? Come Kapuściński, Rumiz non ha risposte pronte. Va, non smette di andare e di guardare, e andando e guardando emerge una lunga intricata storia di popoli, di etnie, di individui, una storia che ci riguarda.
Molta parte di quello che potremmo chiamare il mondo di Paolo Rumiz è contenuto in questa apertura. L’Est (guardato per lo più da quel formidabile osservatorio di frontiera che è Trieste), il gusto del viaggio o piuttosto dell’andare (attraversando paesaggi, incontrando uomini, sondando umori), la fascinazione del racconto e della parola. In questo libro in cui molte strade si intrecciano su quell’ideale confine d’acqua che è il corso del Danubio, non mancano affondi, interferenze, meditate diversioni che portano in Italia, quasi la fatica e la bellezza dell’andare (con ogni mezzo: a piedi, in bicicletta, in treno) fosse comunque e sempre la penetrazione di un altrove che riconduce alla percezione del nostro paese. E Trieste è sempre lì a far da sentinella fra due diversi "altrove". Con il talento del ritrattista sociale Rumiz ci racconta la storia di Jucika Seres, contadina magiara, che sembra assumere in sé tutta la forza femminile del Danubio, evoca le "genti favolose del Mar Nero", scava nell’angoscia dell’homo helveticus, legge la Svizzera come "anomalia europea", spia il traffico degli scafisti dal Salento spazzato dalla tramontana. L’Est: un ghiacciaio che, sciogliendosi, rovina sull’Europa o un baluardo di tradizioni? Come Kapuściński, Rumiz non ha risposte pronte. Va, non smette di andare e di guardare, e andando e guardando emerge una lunga intricata storia di popoli, di etnie, di individui, una storia che ci riguarda.

Paolo Rumiz
Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …
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